TRENTO – 4 nov. 2023 – Oggi, cento e cinque anni fa, l`armistizio di villa Giusti ha messo fine alla prima guerra mondiale. In quest`epoca di conflitti diffusi e ad alta intensità, non abbiamo difficoltà a comprendere quale sia stato il significato di quel giorno, soprattutto nel nostro Trentino, dilaniato dai combattimenti e anche dalle contrapposizioni politiche tra irredentisti e filoaustriaci. Nonostante la distanza temporale, quel Trentino prostrato, ridotto alla fame, da cui erano partiti centomila profughi, quel “mondo di ieri” in cui un grande impero crollava e l`Italia definiva nuovi confini, quanto a devastazione e a disperazione ci richiama altri luoghi del mondo di oggi: l`Ucraina, innanzitutto, che con l`invasione russa sembra aver fatto un salto indietro nel tempo della barbarie. Se vogliamo dare il giusto valore alla pace di cento e cinque anni fa, non possiamo non ricordare cosa sia stata la prima guerra mondiale, con i suoi 16 milioni di morti e i più di 20 milioni di feriti e mutilati.
Una carneficina, un inferno le cui porte si sono spalancate dopo l`attentato di Sarajevo, causa e insieme pretesto dell`incendio che si è propagato in mezza Europa. Oggi la nostra Costituzione ci vincola a non dare pretesti alla guerra, a cui non possiamo demandare la risoluzione delle controversie internazionali. Sempre la Costituzione assegna alle nostre Forze armate, che oggi festeggiamo, il ruolo di presidio fondamentale dell`Italia democratica. Del resto, come ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “nessuno più degli uomini e delle donne in divisa conosce il valore della pace e cosa significhi metterla a rischio”. Non a caso il nostro esercito è stato ed è un fattore di equilibrio e di stabilizzazione in molte aree inquiete del mondo, compreso quel Libano che oggi rischia di essere travolto dal conflitto israelo-palestinese. E tra tante missioni dei nostri militari, ci rendono particolarmente orgogliosi quelle di carattere umanitario: ricordo che solo lunedì scorso un C130 dell`aeronautica, in cooperazione con l`Onu e la Mezzaluna rossa, ha portato i primi aiuti alla popolazione palestinese. Oltre che sull`imprescindibilità della pace e del dialogo, il 4 novembre ci invita a riflettere anche sul valore della nostra unità nazionale. Ma non ci può essere odio nella nostra idea di unità nazionale, che non è escludente né esclusiva, che non guarda solo indietro, alle radici, ma deve anzi essere capace di futuro, di coinvolgere i cittadini in un progetto comune, di nutrire la speranza.
In conclusione, permettetemi di citare una frase dello statista trentino Alcide De Gasperi pronunciata da capo provvisorio dello Stato, nel 1946, un anno dopo la fine della guerra, quando le città italiane erano ancora ingombre di macerie: “Non imprechiamo, non accaniamoci tra vinti e vincitori. Uno solo è l’artefice del proprio destino: il popolo italiano che creerà nella Costituente una Repubblica di tutti, una Repubblica che si difende sì ma non perseguita; una democrazia equilibrata nei suoi poteri, fondata sul lavoro, ma giusta verso tutte le classi sociali; riformatrice ma non sopraffattrice e soprattutto rispettosa della libertà della persona, dei Comuni, delle Regioni”. Creare una Repubblica di tutti: è un`esortazione, è un traguardo, è quasi un programma di lavoro che non ha perso nulla dell`attualità di allora.