ROMA – 23 giu. 2014 – Siamo in estate e le cronache debbono registrare incidenti stradali di rilevante entità e che hanno distrutto famiglie per la perdita di 4.039 giovani. Un numero ancor più elevato sono i giovani che hanno subito lesioni di grande importanza tanto da renderli inabili ad alte percentuali. Alcuni esperti parlano che costoro sono pari a un numero che si moltiplicano per 5 delle vittime decedute, vale a dire oltre 20 mila giovani nei tre anni con inabilità rilevanti.
Ogni anno campagne per far riflettere al problema dell’incidente a favore della vita. Oltre al costo sanitario, nel caso delle lesioni, le cronache parlano spesso delle prognosi riscontrate al momento dell’incidente e non parla dei problemi che ricadono sulle famiglie. Ma anche altri costi sociali. La perdita di lavoro, l’assistenza, il costo di quanto la sanità pubblica non passa come spesa, queste alcune delle ricadute verticistiche sulla famiglia, ma anche per lo Stato.
Come ogni anno, ecco gli spot che inducono alla prudenza. Ma la domanda sorge spontanea. Cosa si fa per dare una istruzione ai giovani per la sicurezza stradale? Come si educano i giovani a rispettare le norme? Come si comportano i genitori perchè rendano particolarmente sensibili i giovani al pericolo che ricade in primo luogo su di loro e di conseguenza sulla stessa famiglia? Diciamo siano responsabili. Anzi. Siamo tutti responsabili e meno tolleranti al pressapochismo targato: tanto a me di certo non succede? Salvo poi essere protagonosti indiretti in incidenti, perchè coinvolti per – più o meno – gravi responsabilità di altri?
Un ulteriore passo avanti potrebbe essere messe sul piatto della bilancia la manutenzione delle strade. A che serve multare e poi multare: per velocità, soste e chi più ne abbia ne metta sul piatto della bilancia se poi quei denari che per legge dovrebbero garantire la messa in sicurezza le strade nella manutenzione, spesso gli introiti delle multe vanno solo a ripinguare le casse vuote degli enti pubblici.
Insomma. Per tutti serve, anzi servirebbe, usare il concetto del buon padre di famiglia – quello di un tempo – che valuti maggiormente le asprità della vita fatta di pericoli spesso evitabilissimi.